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Sono puntualmente specificati gli obblighi e le competenze dei Comuni, dei servizi veterinari delle Ausl e dei proprietari di cani. Vengono anche evidenziati responsabilita’ e rimedi sostitutivi previsti dalla normativa vigente in caso di inadempimento.

”Era necessario – spiega l’assessore Russo – riaffermare il quadro complessivo delle responsabilita’ di ciascun attore per sollecitare la necessaria cooperazione che e’ l’unico modo per fronteggiare il fenomeno del randagismo che, purtroppo, in Sicilia ha assunto proporzioni preoccupanti, con inevitabili ricadute non soltanto sulla salute dell’uomo e sul benessere animale, ma anche sul turismo. Con questa direttiva ho voluto fare chiarezza, anche in riferimento a qualche dichiarazione non proprio corretta che e’ apparsa sui giornali: l’attivita’ di cattura dei cani vaganti compete ai sindaci dei Comuni, la microchippatura degli animali e il loro ricovero in rifugi adeguati compete alle Ausl che hanno anche compiti di sterilizzazione. Il problema, e’ inutile nasconderlo, e’ stato fin troppo sottovalutato dalle amministrazioni locali e adesso e’ esploso in tutta la sua gravita’. Capisco le difficolta’ di chi deve amministrare una comunita’ con risorse esigue e siamo pronti a dare la massima collaborazione a chi avra’ un approccio serio con il fenomeno. Abbiamo gia’ predisposto la gara centralizzata per l’acquisto dei microchip necessari e, d’intesa con il sottosegretario alla Salute Francesca Martini e le associazioni animaliste, stiamo valutando le soluzioni piu’ opportune per la realizzazione di strutture adeguate”.

Oggi l’assessore Russo incontrera’ il prefetto di Ragusa Carlo Fanara e il sindaco di Scicli Giovanni Venticinque per valutare la situazione nella provincia di Ragusa dove e’ gia’ partito un progetto pilota. Proprio alle prefetture, a cui la direttiva e’ inviata per conoscenza, l’assessore Russo dichiara la propria disponibilita’ ad ogni forma di collaborazione che si riterra’ di dovere attivare per il piu’ proficuo coordinamento delle attivita’ di rispettiva competenza.

Secondo gli ultimi dati sono oltre 210.000, in Sicilia, i cani identificati con regolare microchip, 20.000 dei quali ”regolarizzati” negli ultimi due mesi, dopo l’esplosione del fenomeno. Diecimila circa sono i cani all’interno di rifugi pubblici e privati (numero comunque ancora esiguo) e circa 70.000 sono i cani vaganti.

La direttiva di Russo declina in 13 punti obblighi e competenze dei Comuni che dovranno:
– provvedere, direttamente o in convenzione con Enti, privati o Associazioni protezionistiche o animaliste iscritte all’Albo regionale, alla cattura dei cani vaganti con modalita’ che ne salvaguardino l’incolumita’;
-dotare la propria Polizia municipale di dispositivi di lettura ISO compatibili;
-verificare la identita’ dei cani catturati o rinvenuti sul territorio a mezzo di lettori;
-affidare i cani vaganti catturati, dopo identificazione e microchippatura, ai rifugi sanitari pubblici o ai rifugi sanitari convenzionati;
-stipulare apposite convenzioni con le Associazioni animaliste o protezionistiche ovvero con rifugi per il ricovero privati per l’affidamento e il mantenimento dei cani catturati;
-attivare, di concerto con le Ausl, gli ambulatori veterinari dove effettuare le operazioni di anagrafe e di sterilizzazione;
-provvedere al risanamento dei rifugi per il ricovero, ove siano gia’ esistenti, o costruire rifugi sanitari pubblici e provvedere alla loro gestione;
-preporre un responsabile amministrativo nel caso in cui il rifugio sanitario pubblico sia gestito direttamente dal Comune, o affidare la gestione dei rifugi sanitari pubblici, sotto il controllo sanitario delle Ausl, alle Associazioni protezionistiche o animaliste sulla base di apposita convenzione; provvedere al mantenimento nei rifugi degli animali confiscati o affidarli alle Associazioni protezionistiche o animaliste per il loro recupero comportamentale;
-individuare e delimitare aree urbane da destinare alla attivita’ motoria dei cani d’affezione;
-provvedere alla stipula di una assicurazione per gli eventuali danni causati a terzi da cani vaganti sprovvisti di proprietario; provvedere alla attuazione dei piani di controllo delle nascite;
-irrogare le sanzioni amministrative previste (che resteranno comunque destinate al finanziamento degli interventi di settore) per l’inosservanza e le violazioni degli obblighi previsti dalla normativa vigente.

Altri otto punti della direttiva sono rivolti alle Ausl che hanno, fra l’altro, il compito di garantire un corretto equilibrio del rapporto uomo – animale – ambiente. I servizi veterinari, in particolare, sono tenuti a:
– acquistare i microchip, effettuare le operazioni di anagrafe e impianto del microchip, provvedere alla registrazione della scheda anagrafica e apportarvi ogni modifica e aggiornamento necessario;
-procedere agli interventi di sterilizzazione dei cani presso gli ambulatori veterinari comunali o presso i rifugi sanitari pubblici; predisporre interventi preventivi finalizzati al controllo delle nascite delle popolazioni canine;
-provvedere alla formazione del personale che partecipa ai programmi di prevenzione del randagismo e alla cattura e al recupero degli animali; collaborare con i Comuni per l’attivazione degli ambulatori veterinari comunali dove effettuare le operazioni di anagrafe e di sterilizzazione;
-provvedere alla assistenza sanitaria dei cani ospitati nei rifugi sanitari; provvedere alla fornitura farmaceutica, dei vaccini e del materiale necessario al funzionamento degli ambulatori veterinari; coordinare e programmare interventi specifici sul territorio per la prevenzione del randagismo.

I servizi veterinari, inoltre, d’intesa con le competenti autorita’ sul territorio, dovranno predisporre piani operativi straordinari di contrasto al fenomeno del randagismo.Ai proprietari o detentori di cani e’ fatto obbligo di registrare all’anagrafe canina l’animale, nel secondo mese di vita, mediante l’applicazione del microchip; controllare la conduzione dell’animale utilizzando sempre il guinzaglio e portando con se’ una museruola. Previste sanzioni anche per i proprietari inadempienti. (Asca)

TRATTO: @nmvioggi – 15-06-2009

<!– –><!– –> Qualche granitica certezza forse inizia a sgretolarsi anche nelle amministrazioni che difendevano a suon di leggi la teoria della pericolosità legata strettamente alla genetica. Indubbiamente gli Svizzeri, che sanno far notoriamente di conto, avranno rilevato dati interessanti in questi anni rispetto alla epidemiologia delle aggressioni da parte di cani, per modificare in modo così netto il loro indirizzo legislativo.

Leggendo di corsi di formazione e responsabilizzazione del proprietario, indubbiamente viene spontaneo consigliare il Sottosegretario Francesca Martini di mettere il copyright sull’ultima ordinanza del 3 marzo 2009!

Ma obbliga anche il Sottosegretario a proseguire l’opera presentando delle linee-guida innovative rispetto alla suddetta Ordinanza, esplicative non solo sui corsi di formazione e le sue peculiarità (definizioni, volontarietà/obbligatorietà per chi) ma sui protocolli tra ASL e medici veterinari comportamentalisti sulla gestione della valutazione comportamentale dei cani impegnativi e intervento terapeutico comportamentale dei cani a rischio potenziale elevato.

Il tutto è condito dall’aspettativa di un proficuo confronto istituzionale sulle varie proposte di legge con tematiche riguardanti gli animali: 281 e Leavet, Pet-therapy e Zooantropologia, Tutela del benessere/Aggressioni e Medicina Comportamentale, ecc. La Sisca e l’Anmvi sono accanto a Lei in questo viaggio appena iniziato.

Raimondo Colangeli, Presidente Sisca

CANI, IN SVIZZERA NESSUNA RAZZA VIETATA

CANI, SVIZZERA VERSO RINUNCIA A BLACK LIST

TRATTO DA: @nmvioggi – 10-06-2009

<!– –><!– –> In risposta ad un quesito dell’Associazione Nazionale Coniglicoltori Italiani (ANCI), la Direzione Generale della Sanità Animale e del Farmaco Veterinario ha precisato il campo di applicazione del Regolamento europeo n. 1/2005.

“Come già chiarito per il trasporto di uccelli d’affezione, da gabbia e da voliera e di altre specie avicole, il trasporto di conigli effettuato da allevatori amatoriali direttamente verso la sede della manifestazione espositiva, non ricade nel campo di applicazione del regolamento CE n. 1/2005, ancorchè nell’ambito delle stesse manifestazioni espositive possono realizzarsi compravendite occasionali di alcuni soggetti finalizzate per lo più al ricambio genetico dei riproduttori.”

Nel caso specifico il trasporto riguarda conigli riproduttori iscritti al registro anagrafico della specie cunicola che vengono trasportati dai singoli allevatori proprietari, con automezzo proprio, in contenitori suddivisi singolarmente direttamente verso la sede di mostre in larga parte di Registro Anagrafico, organizzate su base interprovinciale e regionale.

I coniglicoltori si devono tuttavia impegnare a salvaguardare il principio generale del regolamento europeo sulla protezione del trasporto animale, in base al quale “nessuno è autorizzato a trasportare o a far trasportare animali in condizioni tali da esporli a lesioni o sofferenze inutili”. Gli allevatori amatoriali siano quindi formati sul benessere animale e acquisiscano nozioni di etologia, di accudimento e cure di emergenza degli animali trasportati, “onde evitare che gli animali trasportati per fini non commerciali subiscano disagi superiori a quelli trasportati per fini diversi”.

TRATTO DA:  @nmvioggi – 11-06-2009

Danno cagionato da animali – prova – responsabilità – tipologia [art. 2052 c.c.] In tema di danno cagionato da animali, il proprietario o utente dell’animale, per sottrarsi alla responsabilità presunta ex art. 2052 c.c., è, sì, tenuto a fornire la prova del caso fortuito – che può consistere anche nel fatto del terzo, o nella colpa del danneggiato – ma solo dopo che sia stato dimostrata in modo univoco la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e il danno causato. (1) (1) In tema di danno cagionato dalla fauna selvatica, si veda Cassazione civile, sez. III, sentenza 21.11.2008 n° 27673. (Fonte: Altalex Massimario 18/2009) SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE Sentenza 20 aprile 2009, n. 9350 (Pres. Finocchiaro – est. Ambrosio) Motivi della decisione 1. Preliminarmente va dato atto dell’inammissibilità della produzione documentale esibita da parte ricorrente all’udienza pubblica (con la sola esclusione della copia di una sentenza da sezione penale di questa Corte, allegata a corredo di citazione giurisprudenziale), trattandosi di documenti diversi da quelli previsti dall’art. 372 c.p.c. e, comunque, tardivamente depositati. 2. Va anteposto l’esame del quarto e ultimo motivo che, sebbene proposto “in ulteriore subordine”, attiene a una questione di carattere pregiudiziale – quella della rituale instaurazione del contraddittorio in appello – che, se fondata, dovrebbe essere oggetto di rilievo di ufficio. La questione, già dedotta in secondo grado sub specie di eccezione di “giuridica inesistenza” dell’appello, muove dalla considerazione che l’impugnazione venne notificata a L. D. C., quale erede dell’originaria attrice, non già personalmente, bensì presso l’avv. Luigi Cianciusi, nel domicilio eletto dalla medesima erede all’atto della notificazione della sentenza del Tribunale, contestualmente al precetto. La Corte di appello, nel respingere l’eccezione, ha innanzitutto escluso che il difetto riguardasse la vocatio in ius, osservando che gli appellanti avevano avuto notizia del decesso dell’originaria attrice attraverso la notifica della sentenza e del precetto e avevano, quindi, ritualmente evocato in giudizio l’erede; ha, quindi, rilevato che il vizio, eventualmente attinente alla notificazione, risultava sanato dalla costituzione in giudizio dell’appellata, con il ministero dello stesso avv. Cianciusi entro il termine annuale per la proponibilità dell’appello (oltre che nei termini di cui agli artt. 347 e 166 c.p.c.); ha, infine, rilevato che – essendo rimasto identico il difensore (e il domicilio eletto) della de cuius e dell’erede – doveva escludersi (anche ai sensi dell’art. 330 c.p.c.) che fosse mancato ogni collegamento tra la persona cui l’atto era destinato, il luogo e il soggetto cui era stato consegnata la copia dell’atto di appello, dovendo, anzi, ritenersi il vizio stesso insussistente: ciò in considerazione del fatto che la notifica della sentenza e del precetto effettuata ad istanza dell’erede della parte deceduta dopo la costituzione in giudizio e prima della chiusura della discussione della causa di primo grado, senza che il procuratore costituito l’abbia dichiarato o notificato, spiega il suo effetto solo nel processo esecutivo e non è, quindi, idonea a incidere sul luogo della notifica dell’impugnazione, con la conseguenza che la notifica all’erede va fatta presso il procuratore del de cuius. 2.1. La ricorrente, con il motivo all’esame, denuncia, ai sensi dell’art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c., la nullità della sentenza gravata e del procedimento in relazione agli artt. 110, 328 co. 2 e 330 co. 3 c.p.c., lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto sanato il vizio della notifica dell’impugnazione, nonostante al momento della notificazione non fosse configurabile alcun legame tra l’erede e il difensore della defunta, non potendo a tal fine rilevare il successivo conferimento del mandato da parte dell’erede al medesimo difensore. Chiede, dunque, a questa Corte di affermare il principio che la notifica dell’impugnazione all’erede nel domicilio legale della persona defunta in violazione dell’art. 330 co. 3 c.p.c. non è sanante, quando alla data della notificazione, relativamente all’impugnazione, non vi sia alcun rapporto tra l’erede e il difensore (ancorché tale rapporto sia sorto successivamente), soprattutto nel caso in cui l’erede si sia costituito per eccepire l’inammissibilità dell’appello, condizionando all’ammissibilità di detto appello, il proprio appello incidentale. 2.2. Il motivo di ricorso è infondato, anche se la motivazione della sentenza di appello deve essere rettificata ai sensi dell’art. 384, co. 4 c.p.c., nel punto in cui ha radicalmente escluso la sussistenza di qualsiasi vizio di notifica. Al riguardo si osserva che – intervenuta nelle more del processo di primo grado la morte dell’attrice, senza che l’evento venisse dichiarato dal procuratore – gli odierni intimati hanno esercitato il diritto di impugnazione avverso la sentenza di primo grado nei confronti dell’erede dell’originaria attrice, individualmente identificata e tuttavia notificando l’atto di appello al domicilio eletto dalla de cuius presso il procuratore avv. Luigi Cianciusi. Ciò posto, occorre rilevare che la norma di cui al comma 2 dell’art. 330 c.p.c., cui ha fatto riferimento il giudice a quo (e che la prevalente giurisprudenza di questa Corte ritiene applicabile anche nel caso di decesso avvenuto prima della notificazione della sentenza, in quanto contenente un’agevolazione di valore assoluto, essendo diretta a consentire l’esercizio facilitato del diritto di impugnazione con notificazione nei luoghi indicati dall’art. 330 c.p.c., comma 1, senza individuazione degli eredi) non viene in rilievo nel caso di specie, dal momento che l’erede è stata citata singolarmente (e ciò correttamente, attesa l’intervenuta comunicazione dell’evento con la notificazione della sentenza e del precetto). Nel caso all’esame, quindi, l’erede era già stata individuata, di modo che – escluso che l’elezione di domicilio effettuata in precetto potesse avere efficacia al di fuori del processo esecutivo -la notificazione dell’impugnazione andava effettuata al domicilio personale della stessa erede. In sostanza, corretta la vocatio in ius, non altrettanto può dirsi per la modalità di notificazione. Detto ciò, occorre, innanzitutto, osservare che il problema se la notificazione eseguita presso l’avv. Cianciusi, fosse nulla o inesistente si rivela, nel caso di specie, di scarso e, anzi, nessun rilievo, dal momento che – come rilevato dalla Corte territoriale – l’appellata si è costituita prima della scadenza del termine per appellare, ancorché abbia (tra l’altro) dedotto “l’inesistenza” dell’appello. In ogni caso la valorizzazione che i giudici di appello hanno operato del “legame” esistente tra il luogo in cui venne effettuata lai notifica e la destinataria della stessa risulta corretta, non tanto perché l’erede ha finito per costituirsi con il patrocinio dello stesso avv. Cianciusi (trattandosi, questa, di una verifica ex post del suo collegamento con la destinataria dell’atto), ma soprattutto perché il predetto legale non era persona del tutto estranea al processo ed era, quindi, collegabile al soggetto destinatario dello stesso atto, posto che, oltre ad essere stato il procuratore domiciliatario della de cuius, lo era anche dell’erede, sia pure solo ai fini dell’esecuzione della sentenza ottenuta dalla dante causa. In definitiva va qui applicato il principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui la notifica – pur viziata perché eseguita al di fuori delle previsioni normative mediante consegna in luogo o a soggetto diversi da quelli stabiliti dalla legge, ma che abbiano, comunque, un qualche riferimento con il destinatario medesimo – è, comunque individuabile come “notificazione”, in forza del “riferimento” o “collegamento” al destinatario, il quale consente di non escludere a priori che la notificazione possa raggiungere lo scopo suo proprio, e cioè quello di portare a conoscenza del destinatario il contenuto dell’atto notificato. Motivo, quest’ultimo, sufficiente per ritenere sanato ex tunc il vizio dall’eventuale costituzione della parte (e, quindi, anche ove la costituzione fosse avvenuta dopo la scadenza del termine per appellare) ovvero sanabile attraverso una nuova rituale notificazione nel termine assegnato dal giudice. 3. Gli altri motivi attengono al merito della vicenda. Al riguardo la Corte territoriale ha rilevato che la presunzione di cui all’art. 2052 c.c. opera solo se l’evento di danno sia causa diretta di un’attività posta in essere dall’animale; ha, quindi, osservato che, nel caso di specie, non era stata offerta la prova, incombente sulla danneggiata, né del fatto che il cane si era mosso, né dell’esistenza di un nesso di causalità tra quella (eventuale) condotta e la caduta. Ha precisato, a tal riguardo, che nessuno dei testi escussi in primo grado è stato in grado di riferire elementi utili sulla dinamica del fatto, con la conseguenza che non poteva ritenersi – come superficialmente affermato dal primo giudice – che “la causa della caduta è riferibile in qualche modo al cane”. In particolare ha preso specificamente in esame la deposizione dell’unico teste (G.) che aveva riferito di un qualche movimento del cane, osservando che lo stesso era sopraggiunto sul luogo quando l’evento si era già verificato e sia la D. C. che la L. erano a terra, risultando a quel punto la condotta dell’animale del tutto indifferente; ha, quindi, rilevato, con riguardo alle deposizioni E. e T., che nessuno dei due testimoni aveva assistito al fatto e che uno di essi aveva riferito delle dicerie apprese in loco senza indicarne la fonte, mentre l’altro aveva riferito una dinamica del tutto diversa da quella riferita dall’attrice, appresa dalla L.. 3.1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata in parte qua, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2052 c.c. e delle regole generali di prova della responsabilità civile, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. In particolare la ricorrente deduce, da un lato, che alla Corte di appello spettava di accertare non già se fosse stata raggiunta la prova certa del nesso causale, bensì se l’esistenza del nesso dedotto fosse verosimile all’esito delle prove e, cioè, non escludibile in base ai criteri di probabilità e di logica, secondo i noti canoni della responsabilità civile e, quindi, anche mediante presunzioni e, dall’altro, che la sentenza è viziata per avere esonerato parte convenuta dall’onere della prova della mancanza di colpa o del caso fortuito e dal fatto esclusivo del danneggiato. La ricorrente chiede, pertanto, che sia affermato il principio che la prova del nesso causale ex art. 2052 c.c. e la derivazione del danno vadano dimostrati anche per presunzioni (ex art. 2727 e 2729 c.c.) in base a una condotta verosimile e non escludibile secondo criteri di probabilità e di logica (non applicati dalla gravata sentenza) e, in difetto o di solo dubbio, vada integrata con la prova del danneggiante sulla sua mancanza di colpa o sul caso fortuito o sull’efficacia causale esclusiva del danneggiato. 3.2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto controverso e decisivo in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. In particolare la ricorrente lamenta che la motivazione della Corte di appello non ricostruisca la dinamica del fatto, limitandosi a interpretare un’immagine fotografica fissa e finale (quella delle due donne a terra) ed escludendo la possibilità di ricostruire “le probabili immagini anteriori e privando di valore quelle successive di cui alle prove testimoniali”. Inoltre la motivazione sarebbe illogica perché fondata sull’indimostrato presupposto che il cane fosse fermo, senza tenere in alcun conto il fatto che la custode del cane era caduta, probabilmente, perché trascinata dall’animale e ne avesse perso il controllo. 3.3. Con il terzo motivo si denuncia, in subordine, violazione dei principi generali in materia di responsabilità civile e in materia di sicurezza della circolazione stradale (art. 1 d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285) con violazione e falsa applicazione degli artt. 2052 e 2054 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., nonché omessa o errata motivazione in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.. In particolare la ricorrente sì duole che non si sia fatta applicazione della presunzione di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. e chiede di affermare il principio che nella circolazione stradale l’incidente occorso a due pedoni e un animale, condotto a passeggio da una catena, comporta l’accertamento delle rispettive responsabilità, da cui nessuno dei soggetti coinvolti ha titolo per potersi sottrarre. 4. Nessuno dei suesposti motivi è meritevole di accoglimento. Innanzitutto – premesso che alla fattispecie è applicabile l’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal d.lgs. n. 40 del 2006, trattandosi di sentenza pubblicata a decorrere dal 2 marzo 2006, data di entrata dello stesso decreto – si osserva che i motivi di ricorso per cassazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. devono, in base alla norma cit., essere accompagnati da un quesito di diritto che si risolva in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (Sez. Unite n. 23732/2007); mentre i motivi di ricorso per cassazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. devono contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Sez. Unite, 01/10/2007, n. 20603). 4.1. Ciò precisato, con riguardo al primo motivo che introduce un duplice ordine di doglianze {ex art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), si osserva che il censurato vizio motivazionale non indica il fatto controverso in relazione al quale si ipotizza la doglianza, mentre il “principio” che la ricorrente chiede a questa Corte di affermare – oltre ad essere, come si vedrà, comunque, erroneo – non risponde ai canoni, elaborati da questa Corte in ordine all’enunciazione del quesito di diritto. In altri termini, da un lato, la denunciata violazione di diritto non si è tradotta nell’enunciazione di un quesito autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisca il segno della decisione, e, dall’altro, la critica della valutazione della prova risulta inammissibile, perché pone una questione di fatto, senza però dedurre, con l’evidenza richiesta dall’art. 366 bis c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5, l’esistenza di un vizio di motivazione. Invero la ricorrente chiede a questa Corte di affermare un principio di diritto in tema di accertamento del nesso causale agli effetti dell’applicabilità dell’art. 2052 c.c., senza contemporaneamente individuare la diversa regula iuris di cui avrebbero fatto applicazione i giudici del merito. In effetti il contenuto del motivo, lungi dall’essere in correlazione con la proposizione di una questione di diritto, pone una questione di mero fatto – qual è la valutazione delle emergenze probatorie, sul punto della sussistenza della condotta dell’animale, causalmente riferibile all’evento – che è attività affidata in via esclusiva al giudice del merito, censurabile in cassazione solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva, deficiente esposizione dell’iter logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi posta a base della decisione adottata. Da ultimo, ma non per ultimo, occorre osservare che il principio che la ricorrente chiede a questa Corte di affermare è in contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui in tema di danno cagionato da animali, il proprietario o utente dell’animale, per sottrarsi alla responsabilità presunta ex art. 2052 c.c., è, sì, tenuto a fornire la prova del caso fortuito – che può consistere anche nel fatto del terzo, o nella colpa del danneggiato – ma solo dopo che sia stato dimostrata in modo univoco la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell’animale e il danno causato (Cass. civ., Sez. III, 22/02/2000, n. 1971; cfr. anche Cass. civ., Sez. III, 30/03/2001, n. 4742). La prova liberatoria da parte del danneggiante (proprietario o utilizzatore dell’animale) presuppone l’esistenza del nesso causale, per cui nel caso di specie gli odierni intimati avrebbero dovuto fornire siffatta prova solo se fosse emerso, senza possibilità di dubbio, che il loro cane aveva cagionato la caduta dell’attrice. Ed è per l’appunto quest’ultima certezza che – secondo l’insindacabile valutazione data dai giudici del merito – non è stata raggiunta nel caso all’esame. 4.2. Il secondo motivo è inammissibile perché la censura del vizio motivazionale (per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione) non è accompagnata dall’indicazione del fatto controverso in relazione al quale si ipotizzano le indicate doglianze; tantomeno risultano individuate “le ragioni” che rendono la motivazione inidonea a sorreggere la decisione. Il motivo è in ogni caso infondato. Dall’iter argomentativo sopra riportato sub n. 3, appare chiaro che la Corte territoriale ha motivato la riforma della sentenza di primo grado, ritenendo che non fosse stata acquisita la certezza del nesso causale, dopo avere proceduto a un’accurata disamina critica del materiale probatorio acquisito alla causa, senza incorrere in errori di logica o di diritto e quindi con un ragionamento incensurabile in questa sede; laddove la ricorrente, sotto l’apparenza di denunciare vizi di motivazione, oppone in sostanza una propria alternativa valutazione delle prove, cosi introducendo nel giudizio di legittimità un’inammissibile istanza di riesame del merito. 2.3. Il terzo motivo è palesemente inammissibile. Il “principio di diritto” che si chiede di affermare è privo di qualsivoglia requisito di completezza, specificità e riferibilità alla fattispecie. Il motivo postula l’applicazione dell’art. 2054 c.c., il quale riguarda il danno prodotto dal “conducente di un veicolo senza guida di rotaie” o da “scontro tra veicoli”: fattispecie, queste, non equiparabili, all’evidenza, all’ipotesi di “un animale, condotto a passeggio da una catena”, cui fa riferimento parte ricorrente. In conclusione il ricorso va rigettato. Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

FONTE: Dal Sito ALTALEX

 

 

L’alimentazione come determinante di salute è un principio che non vale solo per l’uomo, ma anche per i cani e i gatti che vivono nelle famiglie italiane. A raccomandarlo sono i medici veterinari dell’Anmvi (Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani)  che hanno collaborato alla stesura del Rapporto Assalco 2009 presentato oggi a Bologna.

 

La crescita del mercato del pet food, registrata dal Rapporto, riflette l’innalzamento della qualità di vita dei quattro zampe, di una cultura alimentare che era impensabile fino a qualche decennio fa e che si sta facendo strada. Malgrado la persistenza di alcuni errori ereditati dal passato: “primo fra tutti quello di ritenere che il cane e il gatto abbiano le stesse esigenze nutrizionali e alimentari dell’uomo e che l’alimentazione del proprietario, fatta di preparati casalinghi, vada bene anche per loro”- dichiara Carlo Scotti dell’Anmvi.

 

“Fino a non molto tempo fa era impensabile chiedere ai proprietari di alimentare i cani e i gatti secondo principi nutrizionali e stili alimentari adeguati alla loro specie, all’età, al peso e alle condizioni di vita – continua Scotti- le cose stanno cambiando, ma c’è ancora molta strada da fare sul fronte della prevenzione, perché nei nostri ambulatori incontriamo ancora pazienti alimentati con gli scarti da cucina”. E questa è la causa principale del sovrappeso nei cani e nei gatti.

 

“Il sovrappeso non è una malattia- aggiunge Scotti- ma influisce sulla qualità di vita dell’animale, non è patologico, ma va affrontato con diete specifiche e col movimento. L’obesità invece è una patologia vera e propria e si ha quando l’animale supera del 15/20% il proprio peso standard. Fortunatamente le percentuali di obesità nel cane e nel gatto non sono allarmanti.” 

 

Dal Rapporto emerge  che il 63% dei cani e il 44% di gatti alimentati con cibi confezionati specifici mantiene il peso forma. “Non c’è quindi nessun allarme da lanciare- conclude Scotti- ma raccomandare di non condividere gli eccessi alimentari che sono una cattiva abitudine dell’uomo e ricorrere ad una dieta specifica lasciandosi consigliare dal medico veterinario”.

 

Ufficio Stampa ANMVI 30/04/2009

<!– –><!– –> Un esposto a 104 Procure della Repubblica di tutta Italia. L’iniziativa e’ del Codacons che chiede di fare luce su come siano utilizzati i fondi destinati al randagismo dalle amministrazioni locali. ”La legge stabilisce che e’ competenza delle regioni – spiega l’associazione nell’esposto – adottare un programma di prevenzione al randagismo e determinare i criteri per la costruzione dei rifugi e il risanamento dei canili comunali; e’ competenza dei comuni e delle comunita’ montane provvedere in concreto al risanamento dei canili esistenti e alla costruzione di nuovi rifugi per i cani, avvalendosi dei contributi destinati a tale finalita’ dalle regioni. Alle Asl, invece, spettano i servizi veterinari di recupero dei cani randagi”.

”Sono giunte recentemente al Codacons a seguito dei tragici fatti che hanno visto coinvolti cani randagi – continua l’ esposto – numerose segnalazioni di cittadini che chiedono lumi su come siano stati spesi i fondi destinati alla gestione del fenomeno del randagismo. L’associazione ha deciso dunque di fare chiarezza e ha chiesto alle Procure di accertare se, effettivamente, le amministrazioni presenti nella propria zona di competenza abbiano ottemperato o meno a quanto stabilito dalla normativa vigente e, quindi, se abbiano stanziato i fondi necessari a controlla re il fenomeno del randagismo, e in quale modo questi soldi siano stati utilizzati”. (ANSA).

<!– –><!– –> In seguito al lavoro sul territorio dei soci SISCA della provincia di Catania, è iniziata una collaborazione con la Provincia di Catania riguardo al fenomeno del randagismo.

Ne dà comunicazione Massimo Di Martino, Coordinatore Gruppo SISCA Sicilia e Calabria Medico Veterinario: “desidero complimentarmi con i colleghi Calabrese, Monfrini e Spada per l’ottimo lavoro, convinto che la strada finora tracciata dal Gruppo SISCA Sicilia e Calabria sia quella giusta per valorizzare la figura del medico veterinario e per promuovere l’approccio zoo antropologico”.

Per combattere il fenomeno del randagismo- è scritto nel comunicato della Provincia regionale di Catania – il progetto vede la sinergia tra tutti i Comuni, l’Azienda Sanitaria Locale di Catania, la Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Messina, l’Ordine dei Medici Veterinari, le Associazioni Protezionistiche e Animaliste, la Società Italiana di Scienze Comportamentali Applicate, il Consorzio Zooservice di Adrano e Fenascop.

«E’ la prima provincia in Italia – ha dichiarato il presidente Giuseppe Castiglione – a mettere in rete tutti gli attori coinvolti dal fenomeno. Una efficace azione di contrasto al randagismo – ha proseguito – non può che essere condotta in ambito sovra comunale, dal momento che il problema ha una dimensione che valica i confini e le possibilità d’intervento dei singoli Comuni. Non è da trascurare inoltre – ha sottolineato Castiglione – che la Provincia solleverà i comuni di circa il 50% della spesa per le iniziative anti randagismo e per il mantenimento dei cani. Un dato significativo riguarda il Comune di Catania, che aveva già previsto in bilancio un capitolo di spesa di 660.000 euro e che ora si ridurrà a 337.000 euro, ottenendo un risparmio considerevole».

Tra le azioni del progetto c’è l’obbligo di iscrizione all’anagrafe canina dei cani di proprietà presso il Servizio Veterinario della Azienda USL; la mappatura della popolazione canina, la sua numerosità e lo stanziamento dei branchi, la dislocazione urbana o rurale, i punti di maggiore concentramento, la presenza attiva di associazioni per la protezione degli animali, il grado di zoofilia dell’ambiente; la dotazione del personale di vigilanza del Comune e della Provincia di lettori per i microchip e l’aumento di controlli sul territorio sui cani di proprietà non iscritti all’anagrafe. Il servizio di cattura cani e di ricovero può essere svolto, per conto dei Comuni, dalla Provincia con l’ affidamento a ditte accreditate, Enti o Associazioni riconosciute che operano sul territorio provinciale, in possesso di tutte le certificazioni igienico sanitarie.

È prevista la sterilizzazione chirurgica e farmacologia per i cani randagi e per quelli presenti nelle strutture di ricovero, con il ricorso anche a convenzioni con medici veterinari liberi professionisti, fermo restando che, al fine di contenere il randagismo ed evitare il sovraffollamento dei rifugi per il ricovero, prioritariamente deve essere privilegiata la possibilità, dopo l’intervento di sterilizzazione del cane randagio, della sua successiva reimmissione nel territorio di provenienza. Un aspetto importante è l’educazione, l’aggiornamento e la formazione sanitaria, diretta agli studenti nelle scuole per una corretta convivenza, ai proprietari per una corretta padronanza e per il controllo responsabile della riproduzione, al personale di vigilanza e di polizia municipale per una corretta gestione degli interventi; al personale addetto al servizio di cattura cani per la formazione degli stessi. Particolare attenzione sarà rivolta agli incentivi per le adozioni di cani, anche non di razza, dai rifugi sanitari e rifugi per il ricovero, attraverso la gratuità di alcuni servizi (iscrizione nell’anagrafe, sterilizzazione, cure veterinarie, vaccinazione).

Il progetto sarà inoltre supportato da un approccio innovativo. Se da un lato, infatti, si assiste ad una crescente e diffusa sensibilità verso il fenomeno del randagismo, dall’altro lato non sempre fanno riscontro pratiche politiche, decisioni amministrative ed economiche adeguate ai cambiamenti culturali, nell’ambito dell’integrazione del rapporto uomo/animale all’interno della Società. Per questo la Provincia regionale di Catania, ha deciso di puntare anche su un approccio zooantropologico, volto alla formazione di coppie cane-proprietario che si inseriscano al meglio nel tessuto sociale cittadino. «Ciò permetterebbe di agire sui primi anelli della filiera relazionale – ha spiegato il presidente Castiglione – consentendo di effettuare attività di prevenzione allo scopo di evitare la sofferenza animale e di non mettere in pericolo la vita di alcuno. L’obiettivo – ha ribadito – è quello di portare avanti un progetto che, attraverso la collaborazione di autorevoli e competenti partner, riesca a dare finalmente risposte concrete e tempestive ad un problema quanto mai attuale e che possa stabilire anche un corretto approccio tra la cittadinanza e questi animali al fine di evitare gli eccessi estremi, sia cinofili che cinofobi».

Presenti alla conferenza stampa di presentazione del progetto, avvenuto al Centro direzionale Nuovaluce, oltre al presidente della Provincia, Giuseppe Castiglione, alla maggior parte dei sindaci dei Comuni, gli assessori provinciali Pippo Pagano e Giovanni Bulla, il dirigente Giovanni Ferrera, l’assessore comunale all’Ambiente, Domenico Mignemi, il preside della Facoltà di medicina veterinaria di Messina, Vincenzo Chiofalo, il dott. Selvaggi in rappresentanza dell’Ordine dei medici veterinari, la dott.ssa Marino, direttore del centro zooprofilattico di Catania, il dott. Salina in rappresentanza dell’Ausl, la dott.ssa Manfrini, delegata della Sisca per la Sicilia.

TRATTO DA: @nmvioggi – 21-04-2009


Tendopoli

13/04/2009

A Villa Sant’Angelo, dove opera la Protezione Civile dell’Emilia Romagna, si cerca di non trascurare nemmeno l’aspetto della quotidianità legato agli amici a quattro zampe.
Sforzarsi di riuscire a tornare lentamente alla normalità, alle abitudini, ai piccoli gesti quotidiani, importanti per superare a livello psicologico i traumi legati al sisma. Ecco perché dedicare attenzioni ai propri amici a quattro zampe e godere del loro affetto può aiutare, soprattutto anziani e bambini, a stare meglio. Nella tendopoli di Villa Sant’Angelo, la Protezione Civile dell’Emilia Romagna ha allestito una infermeria veterinaria dove medici volontari visitano cuccioli bisognosi di cure.
Animali duramente provati dalla tragedia, disorientati e feriti, ma se non altro con la fortuna di essere accanto ai propri padroni. C’è infatti un esercito di quattro zampe disperati: dopo il terremoto almeno 8.000, tra cani e gatti, risultano dispersi o in stato di abbandono.

Silvia Pelliccioni

TRATTO DA: sanmarinortv.sm

 

Nella giornata di oggi l’Ordine dei Medici Veterinari dell’Aquila ha curato l’allestimento e l’attivazione di una struttura veterinaria a S.Vittorino (L’Aquila), per la cura degli animali da compagnia della popolazione colpita dal sisma.

 

Le prestazioni sono garantite dai medici veterinari liberi professionisti che hanno avuto le proprie strutture lesionate se non distrutte dal terremoto.

Considerata la situazione di emergenza le prestazioni erogate non comporteranno alcuna spesa a carico dei proprietari.
A fronte del notevole sforzo organizzativo e grazie alla disponibilità della Protezione civile del Comune di Roma che ha fornito la tenda, è stato possibile in tempi brevissimi disporre di una struttura in grado di garantire le cure mediche agli animali di proprietà.

Nelle prossime ore sarà attiva anche la sala operatoria per la piccola chirurgia e le emergenze.
I medici veterinari che si avvicendano al momento nella struttura sono i dottori:

Vittorio Bucci 340.0005109

Vittorio Cianfaglione 336.209374 ( anche per equini)

Federico Manni 347.6034382

Serena Aquilio 340.3517174

Emanuela Pasquali 340.0005109

Elisa Zaccagno 328.7207784.
I numeri di telefono riportati sono riservati all’utilizzo da parte della cittadinanza della zona terremotata, per ogni altra comunicazione vi invitiamo ad utilizzare il Numero verde 800 08 22 80, oppure 0861 315 500; Fax 0861 332 310
Al momento non è possibile quantificare il numero di visite né le eventuali necessità di materiali monouso e farmaci che verranno comunicate nei prossimi giorni per consentire, a coloro che volessero dare un contributo concreto, di inviare materiali o quanto fosse necessario.
Per permettere all’Unità di crisi che lavora al settore delle emergenze veterinarie di ottimizzare le risorse, invitiamo ad utilizzare l’indirizzo di posta elettronica

FONTE: sito IZP Teramo

<!– –><!– –> Nel quadro dell’emergenza randagismo si è verificato un incremento ulteriore dei fenomeni delittuosi legati allo spargimento di bocconi killer volti all’avvelenamento di cani con correlato rischio per la salute pubblica, per la fauna selvatica, nonché per l’ambiente.

In questo contesto il Sottosegretario alla Salute Francesca Martini ha assunto la decisione di inviare una lettera ai Prefetti per richiamarli ad una pronta applicazione di quanto disposto dall’Ordinanza recante “Norme sul divieto di utilizzo e di detenzione di esche o di bocconi avvelenati” che ha emanato il 18 dicembre 2008.

In particolare il Sottosegretario Martini ha invitato i Prefetti ad una rapida istituzione del previsto Tavolo di coordinamento con le Forze dell’ordine e gli Enti interessati.Il medico veterinario che, sulla base di una sintomatologia conclamata, emette diagnosi di sospetto di avvelenamento o viene a conoscenza di un caso di avvelenamento di un esemplare di specie animale domestica o selvatica, deve darne immediata comunicazione al sindaco e al Servizio veterinario della Azienda sanitaria locale territorialmente competente.
In caso di decesso dell’animale il medico veterinario deve inviare le spoglie e ogni altro campione utile all’identificazione del veleno o della sostanza che ne ha provocato la morte all’Istituto zooprofilattico sperimentale competente per territorio, accompagnati da referto anamnestico, al fine di indirizzare la ricerca analitica. A seguito di episodi ripetuti, ascrivibili alle stesse circostanze di avvelenamento confermato dall’Istituto zooprofilattico sperimentale, il medico veterinario, ove ritenga, puo’ emettere diagnosi autonoma, senza l’ausilio di ulteriori analisi di laboratorio.

Sui compiti assegnati al medico veterinario, l’Anmvi ha avanzato alcune osservazioni alla competente direzione generale di sanità animale e altrettante richieste di modifica all’indirizzo del Sottosegretario Martini.
Le modifiche sono tese a sanare alcune incongruenze con la normativa sui rifiuti speciali e ad agevolare la piena attuazione dei compiti posti in capo al medico veterinario. L’Anmvi ha anche chiesto che sia assicurata la presenza di un veterinario libero professionista al tavolo di coordinamento istituito presso ogni prefettura.

TRATTO DA: @nmvioggi – 31-03-2009